Da tempo è ormai diffusa la percezione che stiamo vivendo un vero e proprio cambiamento epocale. Ci troviamo in una fase di passaggio molto delicata: da un’insostenibile economia lineare basata sulla crescita illimitata e il conseguente sfruttamento indiscriminato delle risorse, a un modello di sviluppo economico virtuoso, circolare.

Anche la popolazione stessa sembra aver maturato la consapevolezza che il benessere sia legato più che al prodotto interno lordo, alla qualità della vita e alla salvaguardia ambientale e sociale ed è su questi presupposti che dovrebbe basarsi il nuovo sistema.

L’economia circolare, secondo la definizione che ne dà un ente che si occupa di ripensare il futuro su tale modello – la Ellen MacArthur Foundation, “è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare, i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera.”

È dunque naturale conseguenza che la transizione in atto coinvolga anche l’intero mondo della comunicazione, la quale ha il compito non solo di trasmettere le informazioni, ma anche far conoscere, coinvolgere e condividere la conoscenza in tema ambientale.

In uno scenario così delicato, non è difficile cadere nella trappola della disinformazione e delle “fake news”.

Il tema è di grande attualità oggi, nella cosiddetta era del “cyber-power” dove lo sviluppo di nuove tecnologie informatiche e “nuovi media” (Google, Facebook, YouTube…) ha favorito l’aumento della diffusione di notizie deliberatamente false, o manipolate, che generano confusione e incertezza. Sfruttando anche alcune debolezze cognitive tipiche della nostra società contemporanea, come ad esempio la tendenza a divulgare informazioni non approfondite criticamente, la scarsa propensione all’approfondimento e alla verifica delle fonti, la sindrome da deficit di attenzione, le “fake news”aumentano la vulnerabilità di governi, istituzioni e individui.

Di fatto, come ha osservato Vittorfranco Pisano – Capo Dipartimento Scienze Informative per la Sicurezza dell’Istituto UNINTESS di Mantova, la disinformazione “rimane particolarmente nell’attuale contesto storico caratterizzato da martellamenti mediatici, un mezzo alla portata di qualunque centro di interessi intento a raggiungere i propri scopi influenzando e sfruttando uno o più settori della compagine sociale”.

E quindi: come possiamo difenderci dalla disinformazione ambientale?

Si può iniziare con la sua definizione data dal Centro studi Qualità Ambiente, ovvero è “l’insieme delle strategie e delle azioni poste in essere da istituzioni, imprese, mass media allo scopo di diffondere una corretta conoscenza dei temi ambientali, promuovere un rapporto costante di dialogo e di cooperazione tra cittadini, consumatori, istituzioni, imprese, clienti e fornitori, e agevolare il processo di costruzione del consenso.”

Avere un approccio scientifico/divulgativo è il metodo a cui fa riferimento la Convenzione di Aarhus del 1998 (ratificata dall’Italia con la Legge 108/2002), dove per la prima volta si parla di diritto all’informazione ambientale estendendolo alla partecipazione dei processi decisionali e dell’accesso alla giustizia in materia ambientale.

Obiettivo principale della comunicazione ambientale è far comprendere l’importanza dei problemi ambientali e di come questi possano essere affrontati e risolti. La partecipazione dei cittadini e dei diversi attori della società è l’elemento cardine per dare origine ad azioni che sviluppino un percorso di transizione, verso un nuovo modello di sviluppo.

Determinante, in questo senso, è stata la recente approvazione della proposta di legge costituzionale che ha modificato due articoli della Carta – il 9 e il 41 – aggiungendovi la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.

È il chiaro segnale che la comunicazione ambientale ha contribuito a sviluppare una sempre crescente consapevolezza sulle conseguenze indotte dai cambiamenti climatici e dal loro impatto sul territorio.

Come evidenziato dallo studio “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia”, del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, se si riuscissero ad adottare le misure necessarie a contenere l’aumento della temperatura al di sotto del 2°C rispetto al periodo preindustriale, “le perdite economiche per l’Italia sarebbero ragionevolmente contenute pur presentando costi comunque non trascurabili (circa lo 0,5% del PIL nazionale), mentre aumenterebbero in modo esponenziale in caso di livelli di temperatura più elevati, con perdite di PIL pro capite superiori al 2,5% nel 2050 e tra il 7-8% a fine secolo, considerando lo scenario climatico ad alte emissioni di gas serra e, di conseguenza, con cambiamenti climatici maggiori.

Molte azioni efficaci sono fattibili e opportune anche nellimmediato e con costi nulli, o comunque molto limitati. Un esempio è dato, in ambiente urbano, dallapplicazione estesa del principio di precauzione, evitando di urbanizzare aree potenzialmente a rischio di dissesto e tutelando gli spazi liberi e le aree verdi (parchi, giardini, aree naturali protette etc.), soprattutto se ubicati in aree vulnerabili (fiumi, coste, etc.).

Investire risorse nelladattamento climatico non è “solo azione ambientale”, ma coincide con il promuovere la qualità di vita dei cittadini e la sostenibilità dello sviluppo.

La vera sfida per il futuro è integrare ladattamento a diversi livelli nelle politiche pubbliche (mainstreaming) nelle fasi in cui si decidono gli indirizzi di pianificazione, si elaborano programmi di spesa o si sviluppano progetti di investimento, al fine di integrare ladattamento con lo sviluppo sostenibile del territorio.

Questo processo deve essere supportato da adeguati strumenti conoscitivi, che la comunità scientifica sta mettendo a disposizione e sta adeguando in termini di maggiore accessibilità e comunicazione.

Ecco quindi, che il lavoro di chi si occupa di comunicazione ambientale assume un ruolo strategico di responsabilità sociale, politica, finanziaria.

di Pamela Chiodi