Il presidente di TES Andrea Orlando e il direttore Michele Fina sono stati protagonisti di un forum presso la redazione di Staffetta Quotidiana, l’autorevole e storica pubblicazione che analizza dal 1933 i temi dell’energia e dell’economia. Nell’intervista i temi del piano energia e clima, il commento sull’azione del governo e i prossimi passi di Transizione Ecologica Solidale.

 

Transizione, serve uno spazio d’incontro tra imprese e politica
Intervista a Andrea Orlando sul progetto Tes – Transizione ecologica solidale
Courtesy of RIP Srl – © – Tutti i diritti riservati 

Transizione ecologica solidale: è questo il nome e il fine per cui lavora l’associazione nata dall’idea dell’ex ministro dell’Ambiente Pd Andrea Orlando e Michele Fina, già capo segreteria al Minambiente, presentata a fine febbraio nel corso di un evento pubblico a cui hanno preso parte il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, il presidente della Camera, Roberto Fico, e i rappresentanti del mondo delle imprese, tra cui Marcella Panucci, dg di Confindustria. Alle riunioni a porte chiuse partecipano anche i big dell’energia, da Eni a Enel, seduti attorno a un tavolo che ricorda “le concertazioni”, spiega Orlando. Ne hanno parlato alla Staffetta annunciando l’intenzione (già discussa con Costa) di organizzare una Conferenza nazionale sul Piano energia e clima e la presentazione in Parlamento, da parte di Orlando, di una mozione elaborata da Tes per proporre una riforma radicale dei sussidi, ambientalmente dannosi e non, che si augura “il più trasversale possibile”. Sul tavolo tutti i punti caldi del dibattito politico: dalle marce per il clima, alla ricerca di una riconversione che non provochi “gilet gialli”, senza dimenticare il risveglio verde del Pd mosso da Zingaretti, con il desiderio però di creare un ponte con le imprese: “Abbiamo l’esigenza di ripensare in qualche modo lo sviluppo capitalistico alla luce del tema della sostenibilità”.

Sono passati 9 mesi da quando il progetto Tes venne annunciato in via ufficiosa alla Staffetta: quale percorso state tracciando?

Orlando – Abbiamo lavorato su tavoli tematici a cui partecipano soggetti che stentano ad incontrarsi normalmente. Abbiamo ricostruito tavoli sul Piano energia e clima, sul consumo di suolo e sull’economia circolare. Tavoli che ricordano molto le pratiche concertative. Abbiamo visto che il punto di equilibrio è più avanzato di quello che ci si aspetta.

Oggi la concertazione non è molto di moda. C’è un vuoto su questi temi nella pratica di Governo, come lamentano anche molte associazioni del settore energetico?

Orlando – Il vuoto c’è ed è un vuoto che corrisponde quasi a una scelta programmatica, in alcuni casi si è decisa una non interlocuzione. Non è un limite riferito a una svista o incapacità: si decide che il modo migliore per non affrontare alcuni temi è non interloquire con gli interessi che gravitano attorno a questi temi.

Ad esempio?

Orlando – Per esempio nel recepimento delle direttive Energia-Clima, per il quale ci troviamo in un ambito quasi esoterico. Il punto è che in politica non esistono vuoti, e questi spazi in qualche modo vengono riempiti. Ne abbiamo un esempio con la legge sull’acqua, dove questa mancata interlocuzione preventiva ha fatto sì che il Movimento 5 Stelle ha presentato una legge – che era di iniziativa popolare – e la Lega ha presentato emendamenti che vanno in un’altra direzione. Risultato: non si procede.

Fina – Per il Pec il ministro dell’Ambiente ha sottolineato l’importanza della Vas, ma noi diciamo: facciamo una grande conferenza nazionale per discutere del Piano energia e clima. Fra tre mesi ci sarà la seconda tappa dell’iter di approvazione, con le osservazioni della Commissione europea. La conferenza dovrebbe ricomprendere anche il tema dell’economia circolare. Ne abbiamo già parlato con il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, quando lo abbiamo invitato all’evento del 21 febbraio (v. Staffetta 22/02).

E il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio?

Orlando – Dovrebbe occuparsene ma così non è.

Sembra che su questi temi il ministero dell’Ambiente abbia quasi preso il sopravvento.

Orlando – Questo non è necessariamente un male. Il problema è che se l’altra struttura non gli va dietro, è tutto tempo perso. Si tratta di trovare equilibrio. La cosa interessante è che in una conferenza il Governo dovrebbe andare con una posizione già mediata, anche per non avere reazioni stile gilet gialli, se i costi delle scelte si caricheranno sugli utenti finali.

Parlate spesso con il ministero dell’Ambiente, che, avete detto, ha accolto alcune vostre indicazioni. Sui temi ambientali il M5S potrebbe trovare una consonanza maggiore con le idee del Pd piuttosto che con quelle della Lega? Spesso i due partiti di Governo si sono trovati molto in conflitto.

Orlando – Che il Movimento raccolga un determinato tipo di istanza è un dato vero, che questa istanza sia stata trasformata in azione di Governo ci sembra in gran parte un obiettivo ancora solo dichiarato. Attendiamo risposte sul recepimento delle direttive sull’economia circolare e anche la questione dei condoni ci è apparsa un passo falso. Insomma: apprezziamo la buona volontà e le intenzioni, ma auspichiamo un passo diverso dal governo, soprattutto da chi è più consapevole della sfida che abbiamo davanti. Per la quale c’è moltissimo da fare.

Le imprese apprezzano la vostra iniziativa?

Fina – Certo, gli mancava un luogo di ragionamento: non la rappresentanza dell’interesse ma il luogo in cui ragionare. Siamo nell’era della disintermediazione, tutti i luoghi che provano a investire sul contrario, sulla discussione e sull’intermediazione, naturalmente vengono riconosciuti come tali. Abbiamo trovato subito moltissimo interesse, siamo un’associazione fatta da associazioni di categoria.

Chi partecipa?

Fina – Ai tavoli partecipano 40-50 invitati divisi tra decisori, stakeholder ed esperti preparati da tre position paper di tre soggetti diversi che inquadrano il tema. Poi lì proviamo a stringere, a porte chiuse. Proviamo ad andare nella direzione opposta che sembra andare di moda oggi, cioè polemizzare in tv. L’ultimo tavolo sull’economia circolare, ospitato da Confindustria, lo abbiamo tenuto a dicembre quando si discuteva dell’End of Waste; abbiamo provato a spiegare alla parte tecnica del ministero oltre che a quella politica come ci siamo incartati.

Avete accolto anche imprese singole come Eni o Enel, A2a…

Fina – Assolutamente sì, Enel ha partecipato a quasi tutti i nostri incontri sin dall’inizio.

La sinistra sembra si stia riavvicinando all’ambientalismo. Zingaretti ha dedicato la nomina a segretario a Greta Thunberg e ai ragazzi che oggi manifestano per i Fridays for Future.

Orlando – Per noi è un successo che ci sia anche questo tra gli elementi che definiscono gli orizzonti del Pd. Abbiamo l’esigenza di ripensare in qualche modo lo sviluppo capitalistico alla luce del tema della sostenibilità. Ma il nostro sforzo è quello di non tenere questa cosa all’interno del centrosinistra. Faremo le nostre battaglie all’interno del Pd, però il problema che ci siamo posti è: perché è così poco centrale nel dibattito? La nostra battaglia politica generale diventa tanto più forte quanto più diventa un dibattito politico generale.

L’ambientalismo finora ha pagato poco in termini elettorali, basti fare l’esempio dei Verdi. È così o il problema è di approccio?

Orlando – Ci sono tutte e due le cose. Ci sono stati errori di approccio e un certo elitismo nella proposta politica che ha fatto sì che non avesse un’ambizione di carattere generale. I Verdi tedeschi non sono votati solo da chi si occupa di ambiente, ma da chi è in grado di fare proposte sulla politica industriale, sull’organizzazione della società, sulla politica internazionale. Essere rimasti dentro un’accezione monotematica potrebbe aver inaridito quella esperienza politica. Per converso tutte le esperienze politiche di successo nel corso degli ultimi 10-15 anni sul fronte conservatore e progressista hanno trattato questi temi, da Obama a Cameron, a riprova del fatto che se questo tema viene coniugato con altri ha una forza politica anche elettorale, ma se rimane da solo rischia di diventare irrilevante e non in grado di conquistare un consenso significativo.

Negli Stati Uniti la nuova iniziativa di Ocasio-Cortez sta però ribaltando le priorità: parte dall’orientamento verde del Green New Deal per raccogliere un nuovo bacino di consenso.

Orlando – Anche in questo caso non è la tutela dell’ambiente il solo cardine ma una proposta di impianto keynesiano: come rendere il modello sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. Conferma il ragionamento: l’ambiente è un pezzo, non tutto. È una faccia della medaglia, l’altra è la transizione giusta.

Questa tipologia di piano può portare a far convergere le associazioni ambientaliste?

Orlando – Sono mondi diversi. Gli ambientalisti devono anche avere una certa intransigenza, un certo grado di integralismo nella tutela di alcuni valori di carattere paesaggistico e ambientale. Dal canto suo, il rappresentante di Confindustria fa valere il suo punto di vista, è giusto che ci sia qualcuno che fa da contraltare. Ma quando la questione diventa politica, non può stare più solo sul terreno della difesa e della tutela. Si deve provare a immaginare e ricostruire. C’è uno spazio che riguarda la politica che secondo me deve essere riempito.

Proverà a riempirlo il centro sinistra?

Orlando – Credo che l’ambizione del segretario Zingaretti sia proprio questa. Dipende anche da quello che sapremo fare tutti insieme. Associazioni, think tank, fondazioni, tutta una galassia che ha interesse che la politica si faccia carico di questo tema. Ci deve essere un elemento che crei le condizioni. Il discorso deve essere reso in modo tale che sia spendibile in modo politico. Ambientalismo e politica sono mestieri diversi, ma attualmente c’è un ritardo della politica su questi temi.

Dall’altro lato anche il mondo dell’industria, della tecnologia, dei mercati, della finanza cominciano a spingere essi stessi nella direzione della sostenibilità, indipendentemente dalla politica. Come deve porsi la politica verso questa dinamica?

Orlando – La politica dovrebbe fare almeno in modo di non mettere degli ostacoli. Questo mondo è andato avanti a prescindere dalla rappresentanza di interessi che spesso era molto più indietro. Da ministro dell’Ambiente mi sono trovato in una specie di processo imbastito da Confindustria, e sostenuto devo dire da Eni ed Enel, perché avevamo chiesto un livello di riduzione di CO2 significativo nell’Ue: ci eravamo schierati con quelli che sostenevano l’esigenza di un aumento del livello di ambizione e avevamo avuto forti critiche, e una lettera di Eni ed Enel, assolutamente originale, che chiedevano alla Commissione europea di non tenere conto della posizione del ministero dell’Ambiente. Possiamo misurare come siano cambiate le cose, non solo perché Enel ha cambiato strategia, ma anche perché la base di Confindustria in parte si è modificata. La transizione sta andando avanti. Il punto è: lo sta facendo in una maniera abbastanza rapida rispetto alle esigenze di sostenibilità che sono determinate dal rischio di un collasso ambientale? La risposta è no. Come si fa ad accelerare? Si tratta di trovare leve di carattere nuovo, fiscale e finanziario, bisogna ripensare i tempi dei rendimenti di questa transizione; e accelerare sostenendo l’impiantistica e la pianificazione e lo strumento dei sussidi. Industria 4.0 non ha fino in fondo tenuto conto di questa curva, finanzia l’innovazione a prescindere. Il ragionamento è tutto legato alla competitività dell’innovazione e non alla sua sostenibilità. Molti degli strumenti attuali andrebbero ripensati.

In questo contesto rientra la questione dei sussidi ambientalmente dannosi, che pare verranno modificati per far fronte alle necessità di bilancio. Pensa che sia giusto cominciare a eliminarli?

Orlando – È una questione interessante, però non è detto che i sussidi non dannosi siano ottimizzati. Secondo me andrebbe fatta una ricognizione di carattere complessivo, costruendo dei principi e dei parametri. Quello di cui ho paura è che questi 15 miliardi verranno utilizzati per far fronte a un’emergenza finanziaria, solo per fare cassa, e non secondo un criterio di efficienza. Per questo ho avanzato una proposta, quella di votare una mozione, quanto più possibile unitaria in Parlamento, che definisca ora, prima della sessione di bilancio, alcuni degli obiettivi che deve traguardare la fiscalità verde, magari in modo bipartisan, in modo tale che una parte di queste risorse sia messa al riparo dal rischio di essere spesa per coprire i buchi.

Sarà una mozione trasversale? Quando verrà presentata?

Orlando – Ci cominceremo a lavorare con Tes, mi auguro sia il più trasversale possibile, cercheremo l’apporto di tutte le forze politiche.

Con Zingaretti cercherà un ruolo nella nuova segreteria? Magari per quanto riguarda questi temi?

Orlando – No, anzi: penso che sia importante che cresca Tes, perché se Tes cresce anche chi si troverà a gestire questi temi potrà avere un interlocutore e un supporto. Non ho intenzione di svolgere direttamente un ruolo nel partito, penso che sia più utile far crescere una zona franca. Se mi mettessi a fare questo lavoro dentro il partito, questa ambizione rischierebbe di entrare in contraddizione.

Nella transizione ci sono vincitori ma anche vinti. In altre parole, la sostenibilità è ambientale e anche sociale: nella vostra riflessione c’è anche questo aspetto?

Fina – Quando abbiamo scelto il nome, Transizione ecologica e solidale, lo abbiamo mutuato dal ministero francese proprio per questo, perché la transizione viene interrotta e ostacolata da reazioni sociali, e bisogna occuparsene: prima creando percorsi di riorganizzazione, in cui nessuno rimanga indietro, che è la condizione necessaria perché la transizione proceda, mentre non occuparsene la rallenta, la rinvia. C’è un limite nella green economy: l’idea che ci sia una rivoluzione industriale in atto e poi il lavoro si ricollocherà. È un racconto che va bene solo per chi non ha problemi economici.

Orlando – Noi stiamo insistendo molto non tanto sul tema di come si investe nella green economy, ma di come si investe per trasformare la brown economy in green economy, questa è la cosa più importante dal punto di vista politico, perché il rischio è la reazione sociale, quindi non solo un ritardo, ma un corto circuito.

© RIP Srl – Tutti i diritti riservati