Già da molto tempo, la nostra è diventata una società improntata alla cultura della velocità e della prontezza. In questi tempi ipermoderni, tali caratteristiche sono qualità essenziali nello svolgimento di ogni attività del quotidiano: ci si sposta velocemente, si lavora velocemente, si produce velocemente e soprattutto si pensa velocemente! Assumono ad oggi, il rango di veri e propri valori, necessari per potersi districare nel complicato vivere delle nostre città. Velocità e progresso danno vita così ad un binomio inscindibile, dove l’uno non può fare a meno dell’altro e viceversa. Il progresso in generale e, nello specifico, quello tecnologico se da un lato ci consente di andare avanti sempre più rapidamente verso gli obiettivi che vogliamo conseguire, tuttavia dall’altro ci rende sempre più “disconnessi” dal mondo circostante; consumiamo tutto rapidamente: cibo, tempo, relazioni e rapporti; i nostri sensi talvolta sono in affanno nel cercare di percepire i tanti, troppi stimoli che ci arrivano da ogni parte. Tutto questo accresce il senso di isolamento e di solitudine e la fragilità dei legami sociali, che per mezzo dei social network sono numerosi, ma spesso inconsistenti ed effimeri.
La pandemia che ci ha duramente colpiti, in questo tempo già di per sè così complicato, ha imposto la necessità di rivedere molto velocemente il nostro stile di vita, soprattutto con riferimento al lavoro ed al suo svolgimento; la necessità del distanziamento sociale ha reso necessaria l’esigenza di adottare lo smartworking, che pur essendo già conosciuto ed in uso, con la nuova emergenza è stato generalmente diffuso.
Questo “nuovo” strumento ci ha sicuramente aiutati moltissimo; ha permesso a molti di continuare a svolgere tranquillamente le attività dalla propria abitazione, scongiurando in tal modo che il mondo lavorativo, o almeno parte di questo, si fermasse. E’stata un’importante ancora di salvataggio, un porto sicuro in mezzo alla tempesta nella quale ci siamo trovati a navigare; grazie allo smartworking, almeno sotto questo aspetto e in relazione a diverse attività, siamo sopravvissuti, pur nella drammaticità della situazione pandemica ed economica.
Dopo il lockdown, inoltre, ci si è resi ben presto conto della sua essenzialità, visti gli ulteriori benefici in grado di apportare alla nostra società: come già è stato giustamente rilevato è uno strumento fondamentale per ridare vita e vigore ai piccoli borghi che rischiano di scomparire, consente ai pendolari di evitare lo stress dello spostamento mattutino e serale nel traffico delle grandi città, elimina o limita fortemente l’uso delle auto con conseguente e positiva diminuzione di smog ed inquinamento, consente un notevole risparmio energetico ad imprese e pubbliche amministrazioni.
Inoltre non può sfuggire a nessuno che nelle linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, necessario per poter in concreto conseguire il Recovery Plan, è indicato tra le direttrici di intervento, una trasformazione profonda e sostanziale della pubblica amministrazione, una vera e propria “missione digitale”, che sia volta a creare una PA di competenti, attraverso nuovi strumenti tecnologici ed organizzativi e soprattutto attraverso l’uso dello smartworking.
Il mondo del lavoro o gran parte di questo, con lo smartworking, è divenuto un “grande ufficio” e lo schermo del pc si è trasformato nel nostro “focolare domestico”; insieme agli effetti positivi di cui sopra, però, ce ne sono anche altri su cui occorre riflettere; la casa è diventata il luogo della concentrazione e non più soltanto un luogo di intimità e di relax domestici. Se il famoso aforisma “l’uomo è un animale sociale” ha trovato nello smartworking una forma di affievolita attuazione rispetto alla solitudine totale che si sarebbe creata in assenza di tale strumento, tuttavia come da alcuni rilevato, non deve essere sopravvalutato sotto questo aspetto: uno studio effettuato presso l’Università di Stanford, ha rilevato da un’indagine su un’agenzia di viaggi cinese, che se a lavorare da remoto si guadagna in produttività , dall’altro, si perdono vantaggi in termini di creatività e di pensiero innovativo; si è dimostrato che le persone che lavorano nella stessa stanza tendono a risolvere i problemi più rapidamente rispetto agli smartworkers e che la coesione del team soffre negli accordi di lavoro a distanza. Del resto lo stesso Steve Jobs sosteneva che “La creatività viene da incontri spontanei, da discussioni casuali” e queste sono possibili nello stare vicino ad altre persone e soltanto se ci viene data la possibilità di esprimere nel rapporto con l’altro le nostre qualità umane e la nostra empatia; tali abilità non possono emergere da rapporti automizzati e di natura virtuale e, pertanto, l’elemento di interazione sociale è e resta decisivo, se si vuole evitare di dar vita ad una generazione di lavoratori “autistici” e privi di quel “guizzo creativo” che può emergere soltanto da una vera relazione sociale; quindi il suo limite più macroscopico, soprattutto in una società con le caratteristiche di cui sopra, è l’ulteriore impoverimento del capitale umano e delle sue relazioni; si è affermato in definitiva un nuovo paradigma di lavoro e di socialità.
In conclusione, se è chiaro che tale strumento è ormai un qualcosa di irrinunciabile, occorre tuttavia valutarne e capirne tutte le eventuali conseguenze, al fine di poterle governare e di conseguire un assetto equilibrato di tutti gli interessi in gioco. Digitalizzazione della pubblica amministrazione e più in generale del “sistema paese” devono marciare di pari passo con socialità e sostegno alla stessa; soltanto così potremo essere in grado di conseguire quella modernità (così tanto agognata e che ora è così a portata di mano con il Recovery Plan) che nel suo esplicarsi e realizzarsi non deve perdere mai di vista l’uomo e le sue relazioni.

​​​​​​Francesca Urelli