i conclude un anno da più parti giudicato decisivo per il fronte del contrasto al cambiamento climatico e della transizione ecologica. Se questa è la premessa, verrebbe da dire, si sono perse o si stanno perdendo occasioni storiche: la Cop25 conclusasi a Madrid si è rivelata un sostanziale fallimento, le discussioni in seno all’Unione europea sulle risorse e le modalità di attuazione delle articolazioni del Green new deal non decollano a causa dell’opposizione di alcuni Paesi dell’Est europeo (ma anche della Francia sulla questione che riguarda il nucleare e la cosiddetta tassonomia per gli investimenti verdi), la Legge di Bilancio in procinto di essere approvata dal nostro Parlamento contiene misure e provvedimenti “per la svolta verde” la cui gestazione è stata piuttosto sofferta e a detta di molti al di sotto delle attese.

Quindi un 2019 da buttare, con una serie di sconfitte che preparano necessariamente il terreno per altre sconfitte?

inRead invented by Teads No. Credo che accanto alle frenate sia giusto sottolineare quello che al contrario potenzialmente può maturare e rivelarsi vincente nei prossimi anni. Su tutto, e questo è un dato globale, l’affermazione del movimento giovanile dei Fridays for future: giovani e giovanissimi che a più riprese nel corso dell’anno che si sta per concludere hanno voluto testimoniare l’urgenza di un cambio di paradigma.

Si è trattato di una mobilitazione che ha colto di sorpresa i decisori e le dinamiche stesse del confronto globale, costringendoli a fare i conti con un fenomeno nuovo, particolarmente potente: perché è animato da chi il pianeta deve abitarlo oggi ma dovrà abitarlo ancora per molto, e che quindi ha più di ogni altro titolarità per chiedere e rivendicare.

Credo che la consapevolezza dei giovani possa costituire un’arma fondamentale nella battaglia dei prossimi anni, che coinvolge tutto il genere umano, e in particolar modo i più deboli, le vere vittime del cambiamento climatico: sia che si tratti di ceti sociali che di Nazioni e territori.

E’ significativo che il prossimo anno (a Milano) si terrà la prima Cop giovani, che vedrà partecipare ragazzi e ragazze di tutto il mondo per stilare una dichiarazione che verrà portata alla Cop26 di Glasgow. Le rivendicazioni dei giovani cominciano a strutturarsi e a formalizzarsi, e sarà sempre più difficile snobbarle o ignorarle.

Venendo alle questioni che riguardano da vicino il nostro Paese, credo che il dato positivo può venire senza dubbio dalla buona vecchia pratica di imparare dagli errori; nella fattispecie le vulnerabilità che hanno consentito il progressivo indebolimento, in itinere, delle misure per il contrasto al cambiamento climatico e la transizione ecologica contenute nella Legge di Bilancio.

La vicenda delle “tasse” è in questo senso emblematica: provvedimenti pensati per disincentivare il ricorso a fonti ambientalmente dannose hanno finito per catalizzare un dissenso che è andato oltre i soggetti che se ne ritenevano direttamente danneggiati.

La strada sta nel necessario maggiore coordinamento tra Ministeri, per dare chiaramente il senso di una visione e una missione complessiva; occorre che la portata strategica delle misure della transizione si trasferisca anche nella catena decisionale, e che le deleghe governative coinvolte nelle scelte non si limitino a quelle finanziarie.

La transizione ecologica, è bene ribadirlo, per essere tale deve essere una rivoluzione che coinvolge il sistema economico e la società nella sua interezza. La parzialità delle scelte e delle decisioni può solo essere controproducente.

Michele Fina – direttore di Tes (articolo pubblicato da Huffington Post)