In che misura la questione ambientale e climatica influenzerà i cittadini americani nella scelta tra Donald Trump e Joe Biden alle elezioni presidenziali di novembre?

La gestione molto approssimativa (per usare un eufemismo) dell’emergenza pandemica da parte dell’amministrazione Trump, che ne ha aggravato le conseguenze, è stata accompagnata dall’affermazione dell’evidenza del rapporto strettissimo tra scienza (e quindi protezione dell’ambiente) e salute delle popolazioni. Il coronavirus è infatti in ultima istanza il risultato di un modello sbagliato di relazione con l’ambiente e di uso delle risorse naturali, e una macroscopica spia dell’urgenza di cambiare registro. È esattamente l’opposto di quanto sostiene sin dagli albori della sua ascesa politica Donald Trump, che ha sempre puntato sulla negazione del cambiamento climatico (e ovviamente dei suoi effetti, arrivando a disporre il ritiro dagli Accordi di Parigi) e che, persino in piena crisi pandemica, si è avventurato a sminuire la portata del nesso rapporto sbagliato con l’ambiente – contagio, preferendo coltivare la posizione, più conveniente e coerente con la sua storia, delle responsabilità cinesi.

Joe Biden si è saldamente collocato sul versante opposto, sempre di più dopo l’ottenimento della nomination. Ha annunciato un piano di contrasto al climate change che, se attuato, porterebbe gli Stati Uniti alla posizione di leader globale: con un investimento di 1750 miliardi di euro, sostiene Biden, gli Usa abbandonerebbero i combustibili fossili entro il 2035 e conseguirebbero il traguardo di zero emissioni entro il 2050.

Un ulteriore passaggio significativo del posizionamento di Biden è stato poi la scelta come vicepresidente, se eletto, di Kamala Harris. La decisione è stata presentata da gran parte degli osservatori mettendo in evidenza le origini indiane e giamaicane della Harris, fatto comprensibile, vista la fase di grande tensione di matrice razziale che è in corso negli Stati Uniti. L’impronta progressista di Kamala Harris, già procuratore generale in California, è tuttavia da individuare soprattutto nelle questioni che riguardano l’ambiente e il contrasto al cambiamento climatico, che sono stati di fatto i temi di battaglia della sua campagna per le primarie presidenziali democratiche. La sua posizione scettica sul fracking (la controversa tecnica di fratturazione idraulica del terreno per estrarre petrolio e gas) ha attirato gli attacchi di Trump e, da senatrice, ha proposto la creazione di un ufficio alla Casa Bianca per la responsabilità di giustizia ambientale e climatica, oltre che un suo piano sul clima con la previsione di ingenti investimenti.

La scelta di Kamala Harris, unita alla proposta del citato ambizioso piano da 1750 miliardi, lascia capire quanto Biden stia investendo sulla causa climatica. A conferma di ciò sono le posizioni e le dichiarazioni dei democratici sui catastrofici incendi che hanno nei giorni scorsi flagellato la California: è stato ripetutamente sottolineato il legame nefasto degli eventi con il cambiamento climatico, e la pericolosità delle posizioni di Trump.

Se appare chiaro, in conclusione, che tra le ragioni dell’importanza delle elezioni americane a livello globale ci sia proprio l’urgenza della transizione ecologica, e il potenziale ruolo di traino che potrebbero assumerne gli Stati Uniti, si può affermare in parallelo che il tema è finalmente diventato centrale nel dibattito politico e nella contesa tra i due avversari, così come nella società.

 

Michele Fina
(da Huffington Post)