Le conseguenze negative della progressiva degradazione ambientale sono evidenti e colpiscono innanzitutto i poveri del mondo, costretti ad emigrare attraverso mari -davanti ai quali la felicità non è più un’idea semplice- e deserti -sempre più estesi-.  A fare un viaggio della speranza per giungere in paesi senza speranza.

Anche in Europa, infatti, esistono luoghi in cui “l’alimentazione reciproca fra diseguaglianza e degrado ambientale è particolarmente forte[1].

Si tratta di molte -non tutte- periferie urbane e di alcune aree interne. Si tratta anche del Sud[2].

Se non si pensa velocemente e agisce efficacemente (pensare localmente e agire globalmente non basta più), tuttavia, lo stesso destino colpirà anche le zone meno povere.

Lo stiamo già vedendo in Australia, dove gli incendi si propagano senza fare distinzione tra poveri e meno poveri: gli sfollati sono già più di 100.000, mentre gli animali morti un miliardo circa. Anche gli animali, quindi, condividono il nostro stesso destino.

Insomma, siamo tutti sulla stessa barca. Quasi tutti.

Una parte infinitesimale della popolazione, costituita dai così detti super ricchi -sempre meno numerosi e sempre più ricchi-, assieme a pochi animali selezionati, probabilmente riuscirà comunque a sopravvivere, a scapito di tutti gli altri, mettendo a sistema l’enorme ammontare del capitale disponibile. Un fattore, quest’ultimo, implicito -nemmeno tanto- nel rendere ancora più inaccettabile quel divario economico che tende ad accrescersi e che un giorno potrebbe determinare il discrimen tra la vita e la morte.

L’obiettivo del Green New Deal approvato il 15 gennaio scorso dalla Commissione europea è proprio quello di salvare il pianeta ed i suoi abitanti -tutti-: non solo gli uomini e gli animali, ma anche le piante e gli alberi che bruciano ad un ritmo non più sostenibile, non più accettabile.

Per farlo, dobbiamo di innescare una crescita rispettosa dei sistemi naturali, nonché funzionale al ristabilimento di una generale condizione di equità sociale.

Non solo sembra una via praticabile, ma addirittura la via più praticabile.

Al tempo della Grande Crisi del 2008, infatti, è diventato evidente come la ponderazione dei principi di economicità e di sviluppo sostenibile debba inquadrarsi in un’ottica non di contrapposizione, ma di dialettica circolare.

Ciò che è diventato evidente, tanto da farci pensare ad una nudità del Re, non è soltanto che esiste un rapporto, come detto, tra povertà e degradazione ambientale. Ma anche che, soprattutto in Europa, una politica industriale intersettoriale (l’approccio di tipo “settoriale” adottato in UE ed Italia a partire dagli anni 90 non basta più) di sviluppo sostenibile può contribuire al rafforzamento del mercato interno, orientandolo in senso ecologico.

Anche grazie all’innovazione tecnologica, inoltre, se è vero che scegliere tra lavoro e salute è impossibile, scegliere salute e lavoro insieme è diventato oggi possibile.

Penso al polo siderurgico di Taranto, dove il rispetto del Piano ambientale e del piano di produzione da parte del concessionario può consentire insieme la tutela del lavoro ed un tendenziale progressivo miglioramento della condizione ambientale.

Nella prospettiva, di medio periodo, della de-carbonizzazione degli impianti.

Insomma, solo una politica verde “a tutto tondo”, un Green new deal appunto, orientata alla rottura del nodo gordiano povertà-degradazione ambientale, sarà realmente efficace. Per il recupero ed il rilancio delle periferie, delle aree interne, del Sud. Ma di tutto in contesto economico sociale dell’Italia, del Mediterraneo, dell’Europa.

Questa volta, però, il nodo di Gordio non potrà essere tranciato di netto dalla spada di Alessandro. Il mondo è diventato più complesso, il nodo anche. Bisognerà scioglierlo con perizia.

Le leve attraverso le quali è possibile raggiungere questo obiettivo giusto e ambizioso sono eterogenee, coerentemente con l’approccio intersettoriale adottato.

Al riguardo, vorrei porre l’attenzione su alcuni punti, per certi versi “iconici”, e comunque molto rappresentativi di questo tipo di approccio.

  • La conversione ecologica passa necessariamente per il riavvicinamento fisico e l’interconnessione degli agglomerati urbani. Nella prospettiva di una circolazione delle merci quasi a km0, che garantirebbe sia una tutela dell’ambiente e del paesaggio, in quanto più ecologica, che uno sviluppo delle attività economiche, in quanto meno costosa.
  • Ma passa anche per la realizzazione di un’area strategica per l’approvvigionamento da fonti energetiche che sostituiscano quelle più inquinanti.

Sarà un caso che entrambi questi profili della conversione ecologica (mobilità sostenibile delle merci ed approvvigionamento energetico) riguardano, tutta ltalia, ma soprattutto il Sud? Secondo me no. La compiuta realizzazione di questa duplice prospettiva necessita, infatti, della attuazione del Piano per il Sud e delle Zes.

  • Parallelamente alla nascita di esigenze nuove manifestate da parte della comunità -sia uti singulis che uti civis- legate alla tutela della salute ed al diritto di vivere in un ambiente salubre, ed alla garanzia del libero, paritario accesso al godimento di beni o risorse fondamentali, gli schemi giuridici esistenti hanno cominciato a manifestare tutta la loro inadeguatezza[3]. L’attenzione per i beni comuni è dunque preordinata alla realizzazione di interessi di particolare rilevanza quali i diritti fondamentali della persona; mediante l’elaborazione di un sistema giuridico idoneo a garantire una forma di controllo e gestione sociale su beni che non sono di nessuno o semplicemente pubblici, né di qualcuno e liberamente commerciabili, ma comuni. Cioè di una comunità di riferimento, dell’intera collettività, talvolta entrambe le cose insieme[4].

Nel caso dell’acqua, ad esempio, l’uso necessario, da parte della comunità che ricade nell’ambito territoriale ottimale deve essere garantito a ciascun componente, ma le modalità di programmazione e gestione della risorsa devono anche essere tali da tenere conto dell’interesse della collettività -addirittura dell’intero pianeta- alla sua conservazione, in relazione al pericolo in cui tale bene si trova a causa del sovra-consumo dovuto ad una crescita non razionale delle attività umane. In questo senso, quando si fa riferimento all’acqua, potrebbe essere più corretto parlare non tanto -o non solo- di bene comune, quanto piuttosto di bene comune naturale.

Pesa l’assenza di una definizione legislativa generale.

  • Nessuno dubita più seriamente della necessità di elaborare ed attuare un vasto programma di ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente e, ove ciò non fosse possibile, abbattimento e ricostruzione dello stesso, nell’ottica della lotta al dissesto idrogeologico e dell’efficientamento energetico.

Per la seconda volta il pensiero va al Sud, ed in particolare alla Città di Taranto.

Non credo sia un caso. In particolare, se l’ipotesi del mantenimento della    forza lavoro attuale dovesse risultare incompatibile con la tutela dell’ambiente e della salute, si farebbe strada una terza ipotesi: quella di abbattere Tamburi e ricostruirlo a distanza di sicurezza da ILVA.

  • Abbiamo parlato della necessità di favorire la mobilità sostenibile delle merci, ma è indispensabile anche incentivare e rendere possibile, conveniente, usufruibile la mobilità sostenibile delle persone.

 

Queste azioni, apparentemente eterogenee, sono in realtà accomunate dalla loro naturale disposizione ad avere un impatto positivo su crescita sostenibile ed allargamento del welfare.

Anche per questo motivo, il Green new deal, per essere realmente efficace, dovrà manifestarsi nella forma di un programma unitario.

Negli assi portanti di questa strategia dovranno essere raccolte tutte le azioni, solo apparentemente eterogenee, che mirano allo stesso obiettivo.

Al tempo stesso, dovrà realizzarsi una integrazione di diversi livelli territoriali della strategia, a partire dal piano europeo fino a quello locale, per tenere conto il più possibile, pur in un’ottica unitaria, delle diverse potenzialità economico-produttive ed ecologiche di ciascun contesto.

La mera elaborazione di un Piano, tuttavia, non basterà.

Non basterà perché esistono degli ostacoli empirici, essenzialmente di tre tipi:

  • Economici
  • Cognitivi
  • Giuridici

Per quanto riguarda gli ostacoli economici, le politiche ambientali hanno un costo. Questo costo non può e non deve essere fatto ricadere sulle fasce più deboli, che già hanno pagato un prezzo troppo alto per il progressivo degrado ambientale.

Quindi, le risorse necessarie non possono essere reperite attraverso tagli ai servizi pubblici, riduzione del welfare, innalzamento delle tasse indiscriminato.

Dove trovare queste risorse?

  • Utilizzare la leva fiscale in maniera redistributiva: tassare chi inquina per dare a tutti. Ma è molto importante che poi tali risorse vadano effettivamente a confluire in un Fondo per il Green New Deal.

 

  • In realtà gli investimenti ambientali sono remunerativi nel medio-lungo periodo. Al riguardo sono state avanzate due ipotesi: scorporare questi investimenti dal deficit, oppure creare un bilancio ad hoc con durata di molti anni, per fare pagare anche alle generazioni future il prezzo di politiche adottate anche nel loro interesse (Barca).

Si potrebbe, nel solco di quanto sostenuto da Barca, creare un bilancio separato per gli investimenti ti ambientali, ma non tarato sul lunghissimo periodo. Bensì di durata settennale, la stessa della prossima programmazione dei fondi europei, il cui nuovo “ciclo di spesa” inizierà proprio nel 2021 (l’anno della svolta green?).

  • Posto che la commessa pubblica costituisce il 16% del PIL europeo, un’implementazione dell’uso degli strumenti di contrattualistica verde e degli appalti innovativi abbatterebbe notevolmente i costi della transizione ecologica, orientando il mercato in senso Green e/o favorendo l’elaborazione di soluzioni innovative.

Una possibile soluzione, questa, che si inserisce nel più ampio panorama dell’uso strategico della contrattualistica pubblica.

Esistono poi ostacoli giuridici. Ciò è evidente con riferimento alla mancanza di una definizione legislativa generale di bene comune. Una buona occasione per iniziare ad invertire la rotta sarebbe che PD e Movimento Cinque stelle trovino un accordo per l’elaborazione di una nuova legge sulla gestione del ciclo integrato delle acque, proprio a partire dalla sensibilità comune rispetto al fatto che il bene acqua è un “bene comune naturale”.

Si pensi anche, sempre per quanto riguarda il deficit normativo, alla mancanza di una rimodulazione dei canoni di concessione del demanio; all’attuale configurazione dell’eco-bonus che esclude le famiglie incapienti; al fatto che, a proposito di mobilità sostenibile, la normativa in materia di contributi è tale per cui i contributi che i datori di lavoro versano in busta paga ad esclusi dal reddito sono relativi solo ai mezzi pubblici, mentre andrebbero estesi alle forme di auto condivisa, noleggio di biciclette e di messi elettrici leggeri[5].

Ma l’ostacolo giuridico forse più grande di tutti è costituito dalla enorme, eccessiva complessità, in alcuni casi vera e propria mancanza di ragionevolezza e di chiarezza, della disciplina in materia di contratti pubblici.

Il contraltare di questa ipertrofia normativa, la beffa, è che si riscontrano al tempo stesso alcune lacune normative e/o difficoltà applicative proprio in materia di contratti verdi e appalti innovativi, caratterizzati di per sé da un maggiore grado di complessità rispetto agli appalti “tradizionali”.

Ciò fa sì che anche quando i soldi ci sono (e quindi gli ostacoli economici sono superati) non si riesce ad affidare gli appalti di lavori per la realizzazione delle infrastrutture necessarie per la transizione green, oppure, ciò che è anche peggio, le si realizza senza tenere conto di considerazioni di carattere ambientale.

Infine, esiste quello che è per certi versi l’ostacolo degli ostacoli.

La pubblica amministrazione italiana evidenzia carenze strutturali persino nella gestione della ordinaria amministrazione. O nella capacità di spendere i fondi europei. Soldi che già ci sono.

Come pensare che possa essere attore consapevole, svolgendo un ruolo propulsivo, di questa vastissima azione volta alla programmazione, attuazione, al monitoraggio delle iniziative intraprese, avendo al tempo stesso l’attenzione di coinvolgere nella transizione ecologica tutti i soggetti interessati sia pubblici che privati? Impossibile pensarlo.

E’ però possibile procedere ad un grande piano di assunzioni di nuovo personale giovane e competente che possa dare nuova linfa vitale alla pubblica amministrazione italiana, soprattutto al Sud.

Se così fosse, il Green New Deal sarebbe anche il vero Sblocca Cantieri ed il vero Jobs Act. Ambiente e lavoro.

In conclusione, come Gael Giraud spiega molto bene[6], la transizione ecologica sarebbe oggi tecnicamente possibile, nonostante la crescita esponenziale della popolazione globale.

Per ognuno di questi ostacoli -economici, giuridici e cognitivi- esistono infatti una o più soluzioni, spesso Politiche (penso ancora una volta a Taranto).

E’ come se nella nostra epoca si stessero fronteggiando un lupo buono, che vive in armonia, ed un lupo cattivo, pieno di rabbia e paura.

I due lupi si combattono.

Quale dei due vincerà?  Quello che decideremo di nutrire.

Con una certezza: non possiamo stare fermi, perché se stiamo fermi torniamo indietro.

[1] F. Barca, 15 proposte, www.forumdisuguaglianzeediversita.org, 2019.

[2]C. De Vincenti, Manifesto per il Nuovo Sud.

[3] S. Rodotà, Il controllo sociale delle attività private, 1977, il Mulino.

[4] G.F. Fidone, Proprietà pubblica e beni comuni, Collana ETS. 2017.

[5]  F.Barca, op. cit.

[6] G. Giraud, Transizione Ecologica, 2011, Emi editore.

 

Cesare Massa.