Alessandro Paglia

Segretario organizzativo TES

Il piano “Proteggi Italia”, annunciato dal governo, mira a sbloccare i cantieri in Italia grazie a un pacchetto di interventi normativi, volti a semplificare le procedure di gara. Si punta in particolare ai fondi stanziati, a ripetizione da più governi, per il dissesto idrogeologico e per la tutela del suolo. In realtà sarebbe più corretto parlare di fondi reiterati, perché la percentuale di spesa è rimasta al lumicino. Rimane il fatto che il dissesto è un tema cruciale per il nostro fragile Paese, per lo sviluppo della sua economia per la tutela della sua bellezza, per la sicurezza delle persone, una priorità che non può, però, essere sganciata dal rispetto della legalità e delle norme: perché è stato proprio un approccio semplicistico e irrispettoso dei meccanismi di tutela del paesaggio a causare i principali problemi al nostro patrimonio territoriale.

Fra gli esperti c’è chi sta già ponendo il faro dell’attenzione nella giusta direzione. Bene il pacchetto di fondi per gli interventi cantierabili, ma che dire delle modifiche proposte al codice degli appalti? Che per il triennio 2019-2021 ci siano a disposizione 11 miliardi per il dissesto idrogeologico è un fatto. Che tali fondi possano rappresentare un volano per un riassetto complessivo del territorio italiano, fragile e minacciato da emergenze ambientali e dissesto, è un fatto. Che per tali fondi ci sia un tasso di spesa solamente del 7% è un fatto anch’esso, che non può essere ignorato. Tuttavia, orientarsi verso una deregulation per risolvere tale problema, rischia di produrre un ritorno al passato, in un Paese che con difficoltà tenta di emergere dai propri mali atavici. Occorrono modifiche e correttivi al codice degli appalti, per velocizzare le opere e ridurre gli oneri, la cura del territorio non può essere ostaggio della burocrazia. Se modifiche occorrono però, ci auguriamo che siano migliorative. Una piena applicazione dei CAM (Criteri Minimi Ambientali), ad esempio, potrebbe fungere da leva e da volano per lo sviluppo dell’intera filiera delle imprese green e per un riorientamento qualitativo della spesa. Secondo l’ANAC, una piena applicazione dei CAM, allo stato attuale, porterebbe a delle complicazioni tali, che di fatto bloccherebbero il meccanismo degli appalti. Bene, il tema esiste, se occorre intervenire sul codice, si intervenga su questo, si intercettino i nodi e si discuta con imprese, associazioni e soggetti appaltanti per risolverli. Pensare di non applicarli per paura di bloccare il sistema equivarrebbe ad avere una visione regressiva, mentre ci auguriamo, al contrario di giocare all’attacco questa partita.
Riorientare in chiave green i 170 miliardi annui di spesa pubblica italiana, attraverso una piena applicazione del GPP (Green Public Procurement), sostituire al massimo ribasso criteri qualitativi di spesa, supportare la galassia di imprese green fornendo sbocchi ai loro prodotti, questi devono essere gli obiettivi.